L’Ortensia
LINGUAGGIO DEI FIORI
L’amore in ogni sua sfumatura
in base al colore del fiore.
Origini
Il nome ufficiale dell’ortensia è Hydrangea, deriva dal greco hydros (acqua) e angeion (vaso), ossia vaso d’acqua, sia per la necessità della pianta di acqua in abbondanza sia per la corolla che sembra formata da minute giare d'acqua.
L’ortensia è una pianta antichissima di cui si sono trovate tracce fossili risalenti all’era terziaria, ossia a circa 65 milioni di anni fa. E’ originaria dell’Asia, in particolar modo dell’Himalaya ed è comparsa anche in Nord America.
In Cina la pianta è coltivata fin dai tempi della dinastia Ming e per questo l’hanno definita “Fiore degli 8 Immortali” mentre in Giappone viene chiamata “Rosa del Giappone” in quanto è uno dei fiori più venerati, rappresentato anche su vari oggetti stagionali come le stoffe degli yukata, le ceramiche o i dolci tipici della cerimonia del tè, i wagashi.
L’Ortensia in Giapponese è Ajisai, in kanji 紫陽花, ovvero 紫 “viola, porpora” 陽 “tramonto, positività” e 花 “fiore”.
Attraverso questo fiore il Giappone ci parla della mutevolezza della vita. L’ortensia è chiamata infatti in gergo anche nanabake o shichi-henge, che letteralmente significa “sette cambiamenti” proprio perché attraverso i suoi colori ci racconta il percorso della vita, mutevole fino a ritrovare l’essenza originaria al momento della morte. Una similitudine che ci riporta al profondo legame tra l’essere umano e la natura che caratterizza molti aspetti della cultura giapponese, segnata da atmosfere delicate e ritmi pacati. [Se ti piace questo tema culturale continua nella sezione Appendice più in basso].
Secondo una leggenda giapponese l’Ortensia era associata ad emozioni sincere, di scuse e di gratitudine per la comprensione. Questa associazione nasce dalle scuse che un’imperatore giapponese porse alla famiglia della ragazza che amava per averla trascurata a causa di impegni lavorativi.
Nella mitologia greca il nome deriva da Idra, il mostro dalle sei alle nove teste di serpente che ricrescono se vengono tagliate e delle quali quella centrale è immortale. Gli antichi reputavano il fiore dell'ortensia simile alla testa dell’Idra per via della corolla caratterizzata da una miriade di petali.
L’Ortensia è stata portata in Europa dall’esploratore naturalista francese Philibert Commerson che l’ha scoperta in una foresta in Cina nella metà del ‘700 durante una spedizione guidata da Bougainville per circumnavigare il globo. Il ricercatore botanico ha deciso di chiamare questo fiore “Ortensia” in onore di Hortense Barrè Lapeaute, la donna di cui da sempre era innamorato e di cui era amante, che lo aveva accompagnato nella spedizione vestita da uomo e sotto diverso nome dal momento che le donne erano proibite sulle navi francesi. Hortense era tuttavia sposata con l’astronomo Jerome LaLande, un caro amico di Philibert, quindi non libera di poter ricambiare i suoi sentimenti. Da quì, probabilmente, l'accezione negativa che si attribuisce al fiore: come infatti Commenson intendeva allontanarsi dalla donna che lo faceva inevitabilmente soffrire, così oggi può rappresentare anche il distacco e l'abbandono in ambito sentimentale.
Proprietà curative e utilizzi
In un certo senso è anche il fiore dell'oblio e della dimenticanza: nell'antichità, con le sue radici si realizzavano decotti e infusi che venivano serviti in occasione di funerali e matrimoni. In questo modo era possibile cadere in un torpore che potesse garantire quell'oblio e quel distacco dalla realtà per entrare in contatto con gli spiriti.
Sempre le radici vengono anche usate a scopi medicinali in quanto antiossidanti capaci di alleviare i dolori renali.
Sia gli antichi - ma più di recente studiosi come Carl Peter Thunberg - attribuivano poi all'ortensia qualità diuretiche e depurative, ideali per riprendersi dopo una sbronza.
[Da non provare a casa! L'ortensia può risultare leggermente velenosa in quanto le sue foglie contengono glicosidi e cianogenetici che se assorbiti dall'organismo possono provocare vertigini, nausea e vomito.]
Secondo la tradizione, piantare un’ortensia in giardino protegge la casa dalle negatività esterne. È una sorta di “maestra vegetale” che dovrebbe sempre accompagnare le persone empatiche e sensibili nella loro crescita, sia per aiutarle a difendersi dalle entità indesiderate, sia per aiutarle a stabilire dei confini salutari tra se stessi e gli altri. In generale, comunque, un mazzo di ortensie fresche collocato all’ingresso della propria casa attrae prosperità e fortuna.
Significati
L’ortensia è un invito esplicito a godere delle gioie dell'amore. Simboleggia il sentimento in ogni sua sfumatura in base al suo colore e per questo si divide in amore: in (ri)nascita, unico e sincero, e ardente e passionale.
Ortensia bianca: significa amore puro e simboleggia la nascita o rinascita dell’amore. Spesso la si regala per dire che tutti i pensieri sono rivolti alla persona per la quale si fa la silenziosa dichiarazione di genuino affetto.
Ortensia rosa o rossa: rappresenta l’unicità dell’amore e l’invito a consumarlo. Con essa non solo si dichiara il proprio amore ma si fa anche sapere alla persona che è l'unica e la sola amata. Simboleggia l’unico, vero amore e porta sia un messaggio romantico rivelando un affetto esclusivo sia un messaggio di gratitudine, in conformità all'antica leggenda giapponese come scritto sopra, esprimendo la riconoscenza di chi la dona per la comprensione di colui che la riceve a seguito di un comportamento inappropriato.
Ortensia blu: significa amore profondo e passionale. Di solito la si regala all’amata dal carattere un po' spigoloso e capriccioso per la quale però si prova un amore ardente e profondo. Simboleggia l’amore radicato nonostante la personalità volubile della dolce metà e per questo esprime anche un sentimento di perseveranza e costanza indicando un amore forte e stabile che, nonostante le difficoltà o le peculiarità del carattere dell’amato, rimane incondizionato e duraturo.
L'ortensia è considerata la regina del giardino dopo la rosa che ne è la dea incontrastata. La radice latina del suo nome, hortus, ha il significato letterale di ‘giardino’ ‘stare in giardino’, come a volerne il diritto esclusivo, per questo probabilmente è anche considerato il fiore della superbia. Alcuni poi lo associano a vanità e sbruffoneria per l’abbondanza dei suoi petali e la sua forma sfarzosa.
Curiosità
Viene spesso scelta dai futuri sposi per addobbare chiesa e location del loro matrimonio e per fare il bouquet della sposa.
Il loro colore dipende dalla composizione del terreno in cui la pianta cresce; se il terreno è ricco di ferro il colore tenderà al viola-blu, mentre se ne è povero tenderà al rosa-bianco.
E’ il dono celebrativo per il 4º anniversario di matrimonio.
È anche un nome proprio femminile cui onomastico è celebrato l'11 gennaio e simbolo di molte famiglie nobili che volevano esprimere in questo modo il loro distacco dal 'volgarissimo popolo'. Entrambe cose fatte dalla famiglia Bonaparte, che assunse il fiore come simbolo della casata e ne diede il nome anche alla figlia di Giuseppina.
Appendice
Questa pianta non godette nei secoli di grossa popolarità proprio a causa dei suoi fiori mutevoli, visti come simbolo di infedeltà da parte della classe samurai, che privilegiava invece l’iris (ayame) per la forma lancioidale delle sue foglie che ricordava la spada e il coraggio dei guerrieri. Tuttavia nell’ultima parte del periodo Edo (1600-1868), con il finire del dominio feudale, questo fiore riacquistò la sua fama in quanto secondo i combattenti la capacità di questo fiore di cambiare colore a seconda dell'ambiente era una qualità incredibile e simbolo di immortalità. Aumentò la presenza del fiore soprattutto nei giardini dei templi dove offre ancora oggi uno spettacolo imponente. In questi luoghi sacri, l’ajisai assume non solo funzione ornamentale come avviene l’8 aprile, data in cui si celebra la nascita del Buddha. Durante questa ricorrenza conosciuta con il nome di hana-matsuri (festa dei fiori), una piccola statua del Buddha viene consacrata infatti con l’ama-cha (letteralmente “tè dolce” preparato con foglie di ortensia) per celebrare la “dolce pioggia” che cadde nel giorno in cui nacque il Buddha, riportando alla nostra mente i pensieri positivi di una nuova vita.
Ma è sicuramente nella città di Kamakura, che da il nome ad un importante periodo storico caratterizzato dal dominio dello shogunato di Minamoto no Yoritomo, in cui possiamo trovare la testimonianza ancora viva di questa religione. In quest’epoca, per la prima volta nella storia giapponese, la classe dei samurai prese il potere e anche il Buddhismo cambiò il suo aspetto. Considerato fino al periodo Heian come una religione soprattutto per lo Stato e per la classe aristocratica, divenne nel periodo Kamakura (1185-1333) la religione del popolo volta a liberare tutti dalle sofferenze della vita.
In atmosfere da sogno, miriadi di templi sono raggiungibili attraverso piacevoli passeggiate tra il verde delle sue colline che offrono sguardi all’oceano e al Monte Fuji visibile all’orizzonte oltre la baia. Addentrarsi nelle vie di questa città, a soli 50 km da Tokyo, significa ripercorrere anche parte della storia del Giappone ammirando un patrimonio artistico di origini millenarie. In questo periodo dell’anno non può certo mancare una visita al tempio Meigetsu-in, fondato nel 1160 e conosciuto con il nome di Ajisai-dera (tempio delle ortensie), per la ricca presenza di questa pianta nella varietà “Principessa Hydrangea” così chiamata per la rara bellezza dei suoi fiori che lo impreziosiscono ad ogni sguardo.